Iato
Un acquario è un mondo artificiale, creato dall’uomo per riprodurre in una situazione controllabile e accessibile un brandello della natura, un mondo marino in miniatura a uso e consumo domestico. Come tutte le gabbie, isola il contenuto lasciando la possibilità a chi sta fuori di scrutare l’interno, mentre rende innocuo e indifeso chi o ciò che è rinchiuso. Non viene però annullato il potere dello sguardo del recluso, uno sguardo che può essere tanto più inquietante quanto più assurdo e ingiusto il gesto di imprigionare.
L’opera di Andrea Penzo è nata nel contesto di una residenza artistica ospitata sull’Isola di San Servolo, in cui gli artisti sono stati invitati a riflettere sulla memoria storica del luogo, un tempo manicomio di Venezia. Parte in origine di una più ampia installazione che costruiva un dialogo impossibile tra l’interno e l’esterno dello spazio espositivo, l’intervento di Penzo impiega il vetro con una duplice valenza, come materiale scultoreo che dà vita a volti dall’identità incerta ma dalla forte presenza, e insieme come barriera, come ostacolo al contatto. Il vetro è la gabbia trasparente che isola e anestetizza, che rinchiude ed espone, che miscela sulla propria superficie riflettente le immagini di chi sta dentro e chi sta fuori, ma si tratta solo di un’illusione, perché la separazione tra i due mondi resta invalicabile. La testa imprigionata sott’acqua è come un fantasma, una marionetta ormai senza vita, eppure resta, ingombrante, l’eco di una presenza umana, più forte perché contrastata dalla vitalità dei pesci che abitano l’acquario, più disperata perché inimmaginabile e incomprensibile come la follia.
L’opera di Andrea Penzo è nata nel contesto di una residenza artistica ospitata sull’Isola di San Servolo, in cui gli artisti sono stati invitati a riflettere sulla memoria storica del luogo, un tempo manicomio di Venezia. Parte in origine di una più ampia installazione che costruiva un dialogo impossibile tra l’interno e l’esterno dello spazio espositivo, l’intervento di Penzo impiega il vetro con una duplice valenza, come materiale scultoreo che dà vita a volti dall’identità incerta ma dalla forte presenza, e insieme come barriera, come ostacolo al contatto. Il vetro è la gabbia trasparente che isola e anestetizza, che rinchiude ed espone, che miscela sulla propria superficie riflettente le immagini di chi sta dentro e chi sta fuori, ma si tratta solo di un’illusione, perché la separazione tra i due mondi resta invalicabile. La testa imprigionata sott’acqua è come un fantasma, una marionetta ormai senza vita, eppure resta, ingombrante, l’eco di una presenza umana, più forte perché contrastata dalla vitalità dei pesci che abitano l’acquario, più disperata perché inimmaginabile e incomprensibile come la follia.
L'installazione viene realizzata durante la residenza “Art\LAB”, iniziativa, curata da Irene Calderoni, è promossa dalla Provincia di Venezia in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia e la Fondazione Bevilacqua La Masa e patrocinata della Fondazione Biennale di Venezia. L'opera è realizzata con la collabrazione del Maestro del vetro Fabio Fornasier e della Scuola del vetro Abate Zanetti. 2005.